lunedì 14 maggio 2012

La pillola del giorno dopo: un farmaco abortivo?


Ogni donna in età fertile può ricorrere alla contraccezione di emergenza nel caso in cui voglia prevenire una gravidanza indesiderata. Tuttavia, sono molte le controversie sull'argomento. In particolare, può capitare che medici o farmacisti, avvalendosi dell'"obiezione di coscienza", decidano di non prescrivere o fornire alla donna la "pillola del giorno dopo", considerandola a tutti gli effetti un farmaco un grado di indurre un aborto.

L'insieme di farmaci che viene utilizzato in questi casi viene comunemente chiamato "pillola del giorno dopo". La sua somministrazione permette di ridurre sensibilmente il rischio di una gravidanza indesiderata nel caso la donna abbia avuto un rapporto senza un'adeguata copertura contraccettiva. L'efficacia è massima entro 3 giorni dal rapporto sessuale, ma è chiaro che l'effetto del farmaco è tanto maggiore quanto è tempestiva la somministrazione. Nella pratica clinica di oggi viene somministrata un'unica dose di Levonorgestrel, mentre fino a poco tempo fa la pratica abituale (oggi considerata meno efficace) era quella di somministrare estrogeni o progesterone ad alte dosi, oppure una combinazione dei due ormoni, che venivano assunti in un unico tempo o in due dosi a distanza di 12 ore.
Nonostante del farmaco sia ben conosciuta l'efficacia (esso è infatti capace di ridurre il rischio di gravidanza di circa il 75-88%), non si può dire altrettanto del suo meccanismo d'azione. Dagli studi effettuati sembra che "la pillola" possa inibire o ritardare l'ovulazione, quindi rendere impossibile la fecondazione. Non esistono invece prove secondo cui essa possa creare all'interno dell'utero delle condizioni sfavorevoli per l'embrione, determinandone il mancato impianto (e quindi un aborto in senso lato).

A livello legislativo sono due le leggi che regolano le modalità di controllo delle nascite: la legge 405 del 1975, che istituì i Consultori Familiari, e la legge 194 del 1978, che regola l'interruzione volontaria della gravidanza. Il Legislatore non ha mai definito chiaramente il momento in cui inizia la vita, cioè se essa ha inizio al momento dell'incontro tra ovulo e spermatozoo o solo al momento dell'impianto dell'embrione in cavità uterina. Analizzando attentamente la legge 194 l'inizio della vita sembrerebbe individuato nel momento dell'impianto dell'embrione e non nel momento della fecondazione (che avviene circa 4 giorni prima). La nozione di interruzione di gravidanza, quindi, non può essere applicata a metodiche contraccettive che intervengono in una fase precedente all'annidamento.

Sia dal punto di vista scientifico che legislativo si può affermare che la contraccezione d'emergenza non può essere considerata una forma di aborto, perché nel caso di avvenuto impianto dell'embrione il farmaco non provoca alcun effetto. Non esistono ragioni legali o etiche, ma solo mediche, per rifiutare la prescrizione che, al contrario, dovrebbe essere fatta prima possibile.

Considerando inoltre il fatto che nel 50% dei casi una gravidanza indesiderata esita in un successivo aborto volontario, l'utilizzo della contraccezione di emergenza permetterebbe di evitare un grande numero di interventi chirurgici, che causerebbero un importante stress emotivo per la donna.

La definizione di contraccezione d'emergenza, tuttavia, non è casuale: questi farmaci vanno utilizzati solamente in casi eccezionali, e non possono assolutamente essere considerati dei sostituti di altri metodi anticoncezionali. Se una donna richiede la contraccezione di emergenza più volte, anche all'interno dello stesso ciclo mestruale, è buona norma effettuare un colloquio con un professionista, che può essere il medico generale, il ginecologo o l'ostetrica, e individuare assieme il miglior metodo anticoncezionale.